Buona parte del complesso, e non sempre equo, rapporto tra lavoratore e datore di lavoro, in Italia, viene regolato da diversi fattori, uno tra tutti la busta paga, spesso vista come una forma di tabella riassuntiva usata soprattutto per il calcolo del salario. Tuttavia, essa racchiude al suo interno molto di più: si tratta di un documento costantemente aggiornato circa la situazione sia dell’azienda che del lavoratore, un elemento imprescindibile per qualsiasi impiegato dipendente; e pur essendo spesso formata da una sola pagina, questa può rivelare dettagli e voci che la maggior parte di noi non conosce.
All’interno della busta paga sono definiti tutta una somma di dati suddivisi ordinatamente per zone. La parte centrale, ad esempio, è quella dove viene evidenziato il calcolo della prestazione lavorativa in termini di ore; sono inoltre presenti le varie forme di indennità (principalmente i giorni di ferie goduti, i permessi, la malattia, l’infortunio, le festività, la maternità e così via).
La parte inferiore, invece, è quella relativa allo stipendio ma non solo; vengono conteggiati anche i contributi versati (da entrambe le parti, sia dal lavoratore che dal datore di lavoro). La parte superiore, infine, raccoglie i dati anagrafici ed è altresì ricca di voci non sempre rilevate ma che devono essere sempre presenti.
In tale parte superiore, infatti, sono sempre presenti, vicino i dati anagrafici, informazioni come la paga di base (o minimo tabellare), determinata dal contratto collettivo in base alla categoria di appartenenza, alla qualifica del lavoratore e agli scatti di anzianità.
L’importo di questa paga base, ovviamente, deve per legge corrispondere agli standard del proprio contratto collettivo nazionale di lavoro (il CCNL); è presente, inoltre, l’E.D.R. (Elemento Distinto della Retribuzione), un importo che ogni forma di lavoratore, indifferentemente dalla mansione o dall’inquadramento in azienda, deve corrispondere (si tratta di una somma mensile di € 10,33 da corrispondere per tredici mensilità).